martedì 11 dicembre 2007

Lo starec e il visitatore misterioso

E’ sorprendente come spesso ci si trovi di fronte a quelle di solito si chiamano “coincidenze” (ma forse sarebbe meglio chiamarle “azione della Provvidenza”...). Nei giorni successivi alla presa di coscienza della possibilità di una vita comunitaria accaddero cose abbastanza strane. Ad esempio il mio collega di lavoro, vedendomi cercare notizie su esperienze di comunità in internet, mi disse che anche lui e quella che ora è sua moglie avevano pensato ad una possibilità del genere con una loro amica comune. La coincidenza mi lasciò a dir poco stupito! Cominciammo a parlare e venne fuori che l’idea che avevano loro era praticamente quella che avevo avuto io! Questo fatto mi fece molta impressione, il fatto cioè che la persona che mi era stata posta accanto al lavoro potesse aver pensato alla possibilità che adesso prospettavo per me! Fummo entrambi molto felici della coincidenza (siamo buoni amici prima che colleghi). Nel frattempo lui si è sposato, adesso naturalmente ha bisogno di rileggere la sua spinta alla luce del matrimonio. Mi sembra corretto quindi lasciare, per loro, che il tempo faccia il suo corso. Ma conservo ancora lo stupore della scoperta della comunione d’intenti con uno che “per caso” mi sono trovato accanto!

Ci sono diversi episodi simili che mi fecero pensare a qualcuno che mi stava guidando alla scoperta di una vita nuova: tra questi ci sono alcune letture che mi trovai a fare in quei giorni. Da qualche tempo portavo avanti, con calma e con grande godimento, la lettura di un capolavoro di Dostoevskij: “I fratelli Karamazov”. E’ un libro di una grande profondità, l’avevo letto in fretta anni prima, quasi per sfida, ma non ne apprezzai la profondità. Invece questa volta, spinto all’approfondimento e ad una lettura lenta, ebbi l’occasione di scoprirne la bellezza e la ricchezza. Ebbene, passato qualche giorno dall’idea della vita in fraternità, dopo che avevo anche iniziato a cercare realtà simili attraverso il web, arrivai con la lettura al libro sesto dell’opera. In questo libro si narra la vita di quello che forse è il personaggio di più alta statura morale del libro: un monaco, anzi uno starec (una sorta di guida spirituale, di asceta), si nome Zosima. Senza entrare nei dettagli (invito chiunque a leggere personalmente il libro) questo personaggio, all’inizio della sua vocazione, viene avvicinato da un uomo misterioso. I due iniziano, in incontri periodici, a costruire un dialogo, una riflessione che li porta a parlare in profondità di fede. Ad un certo punto il dialogo si centra sull’avvento del regno nuovo, possibile soltanto con un cambiamento della società (cioè di ogni uomo) verso una vera fraternità di tutti con tutti. Le parole sono quelle di un romanzo, è naturale trovare anche eccessi, ma credo che valga la pena riportare qui il passo intero perché, senza farne una guida, lo trovo significativo: in quei giorni ebbe una grande risonanza in me. La voce narrante è quella dello starec Zosima.

“Che la vita sia un paradiso – mi disse una sera, di punto in bianco – lo penso anch’io da un pezzo”. E subito, d’impeto, aggiunse: “Non faccio che pensare a questo”. [...] “Il paradiso – continua – è nascosto dentro ognuno di noi. Ecco, ora è qui nascosto anche dentro di me e, se voglio, domani stesso per me comincerà realmente e durerà per tutta la mia vita. [...] Per rifare un mondo nuovo bisogna che gli uomini, psichicamente, si indirizzino su un’altra strada. Finché io non diventerò un fratello per tutti, la fratellanza non ci sarà. Nessuna scienza e nessuna specie di interesse insegnerà mai agli uomini ad amministrare senza ingiustizie i loro beni e i loro diritti. Tutto sarà sempre poco, e tutti mormoreranno sempre, si invidieranno l’uno con l’altro, e si stermineranno fra di loro. Voi mi chiedete quando si avvererà. Si avvererà, ma prima deve finire il periodo dell’isolamento umano”. “Che isolamento?” domando io. “Quello che ora regna dappertutto, e nel nostro secolo più che mai, perché ancora non è finito, ancora non è venuto il suo termine. Ora ognuno tende a separare la propria persona dagli altri più che può, ognuno vuol sentire in sé stesso, da solo, la pienezza della vita, ma intanto, invece di questa pienezza, il risultato di tutti i suoi sforzi è un completo suicidio, perché, invece di arrivare a determinare la propria personalità in modo perfetto, si cade nell’isolamento assoluto. Nel nostro secolo, infatti, gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità, ognuno di ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri, si nasconde e nasconde quello che ha, e così va a finire che respinge lontano da sé gli altri uomini e viene a sua volta respinto, sempre per colpa sua. Accumula ricchezze in solitudine e pensa: ‘Come sono forte ora, come sono al sicuro!’ E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in una impotenza che è autodistruttiva. Perché si è abituato a sperare solo in sé stesso, e si è staccato dal tutto isolandosi, ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, negli uomini e nell’umanità, e trema soltanto all’idea di perdere il suo denaro e i diritti acquisiti con esso. Dappertutto, oggi, l’intelligenza umana sta diventando ridicolmente incapace di comprendere che la vera sicurezza dell’individuo non consiste nello sforzo individuale e isolato, ma nell’unione di tutti gli uomini. Però verrà certamente la fine anche di questo spaventoso isolamento, e tutti capiranno di colpo quanto fosse innaturale questo loro allontanarsi l’uno dall’altro. Allora sarà questa la tendenza del tempo, e si meraviglieranno di essere rimasti tanto a lungo nelle tenebre, senza vedere la luce. [...] Ma fino a quel giorno bisogna custodire lo stesso la bandiera, e l’uomo, anche da solo, deve dare l’esempio e trarre l’anima sua dall’isolamento per quest’opera di unione fraterna, magari a costo di passare per un povero juròdivyj. Questo perché non muoia una grande idea...”.
[Da “I fratelli Karamazov”, libro sesto, capitolo secondo, parte d: “Il visitatore misterioso”]

sabato 8 dicembre 2007

L'idea si forma...

Ho iniziato a pensare ad una vita meno isolata e più comunitaria dalla scorsa primavera, anche in seguito a fatti che non sto ora a raccontare. Dico soltanto che l’equilibrio nel quale mi ero adagiato si è rotto e mi sono sentito franare il terreno sotto i piedi. Ho passato giorni duri, nei quali le mie (poche) certezze si sono frantumate e nei quali mi sono accorto di quanto fragile fosse l’impostazione che stavo dando alla mia vita e di quanto poco consistente fosse (ahimé) la mia fede. Pensare ad una vita diversa, improntata su una profonda fraternità, è stata una delle risposte che ho dato alla domanda “che cosa posso fare della mia vita?”.

Meditando sulla solitudine che respiriamo spesso nel nostro tempo, anche in ambito della comunità parrocchiale, mi sono chiesto: Ma questa “comunità”, dov’è? Che senso ha dirsi fratelli gli uni gli altri quando poi, usciti dalla celebrazione della Messa, ognuno torna alla propria casa e pensa solo agli affari propri? Com’è possibile che ci siano persone che restino isolate all’interno della “comunità” cristiana? In quei giorni non facili mi fu chiaro che in realtà il senso della comunità come io lo intendevo, fatto di vera condivisione e aiuto, si era perso.

Leggevo negli Atti degli apostoli la vita dei primi cristiani:
“Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”. (At 2, 44-48)
Eh sì, questa era una vera vita comunitaria, questi sì che si comportavano da fratelli! D’altra parte Cristo stesso aveva affermato:
“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv 13, 35).

Ecco dunque che trovavo in quella Scrittura di duemila anni fa, che dovrebbe essere la base e il modello di vita per ogni cristiano, il modello di una vita diversa, vissuta in maniera più vera e più forte, attenta ai bisogni di ciascuno e aperta all’accoglienza di chi sentiva in sé la spinta a farla sua. Riconobbi insomma nello stile di vita delle prime comunità cristiane il modello di ciò che stava riempiendo la mia mente e il mio cuore. Duemila anni di storia e di “civilizzazione” avevano progressivamente offuscato e rimosso quello stile di vita semplice e felice nel quale ciascuno poteva sentirsi parte di una grande famiglia.

Mi misi alla ricerca, soprattutto tramite il web, di realtà simili a quelle nel nostro mondo di oggi. Con grande gioia scoprii molte realtà sparse per l’Italia e per il mondo, realtà di persone che portavano avanti vite più o meno comunitarie da consacrati, da laici, come unioni di famiglie o di singole persone. Chi aveva fatto dell’accoglienza degli ultimi il proprio scopo, chi invece aveva scelto questa vita semplicemente perché più “vera”. Queste realtà hanno molti nomi: fratellanza di Bose, casa famiglia Maranà-tha, fraternità di San Leolino, case famiglia e case di fraternità della Papa Giovanni XXIII, Arsenale della pace, Casa della solidarietà... ce ne sono diverse, ognuna con la propria storia, col proprio obiettivo, con le proprie peculiarità. Scriverò di loro nei prossimi post, con calma. Concludo solo col dire che leggendo di loro scoprii che il sogno che si andava formando dentro di me non era il sogno di una persona isolata ma altri, prima di me, avevano sentito la stessa spinta e magari altri in questo stesso mio tempo, in questo momento, potrebbero sentirla. Sentii che quel sogno, in un futuro, avrebbe potuto vedere la luce.

mercoledì 5 dicembre 2007

Mi presento

Ciao! E' un davvero un grande piacere accoglierti nel mio blog!

Mi presento: mi chiamo Simone, ho 30 anni e vivo in provincia di Firenze. Non voglio riempire molte righe con informazioni su di me: se vuoi puoi leggere qualcosa nel mio profilo, o fare la mia conoscenza attraverso i post, col tempo, o ancora meglio conoscermi dal vivo. Quello che adesso mi preme è dare una breve motivazione di questo blog.

Il titolo sembra impegnativo: progetto di vita comunitaria... perché? Che significa?

Da diversi mesi a questa parte sto seriamente riflettendo su un modello di vita che si opponga radicalmente a quello profondamente individualista che questa nostra società odierna ci propone. Una lunga riflessione mi ha portato fin qui e mi sta portando ancora oltre: avverto un profondo disagio (mio ma anche di altri) di fronte all'isolamento nel quale molte persone, più di quante immaginiamo, sono immerse e dal quale non sanno come uscire.

La persona umana non si realizza nell'isolamento ma nel rapporto, sempre costruttivo, con gli altri. Ognuno di noi ha bisogno di relazionarsi con l'altro, dall'altro imparare e all'altro insegnare qualcosa. Ogni nostra abilità, ogni nostro sapere, ogni nostro bene non possono essere confinati a noi stessi, al nostro io. Solo nella condivisione con gli altri essi acquistano un senso, un fine profondo.

Credo che la nostra società debba riscoprire la bellezza della condivisione profonda e totale con gli altri. Ciascuno di noi, se preso singolarmente, può far poco. Ma se più persone condividono un progetto e lo portano avanti insieme, allora si può davvero far molto! Intendiamoci, non mi illudo di cambiare la società. Mi accontenterei di vivere personalmente una realtà diversa, più completa, e portare in questa esperienza altre persone che sentano la spinta di fare lo stesso. E così facendo, presentare agli altri un modello di vita diverso e più completo, più profondo di quello che abbiamo continuamente davanti agli occhi.

Sto dunque pensando seriamente ad un progetto di vita comunitaria o, se preferisci, di vita in fraternità. Una fraternità mista, laica, aperta. Non ho in mente qualcosa di perfettamente definito, mi piacerebbe ricevere suggerimenti, idee, critiche, consigli... Diciamo che il sogno, per adesso, è vivere in una grande abitazione con altre persone che condividano uno stile di vita semplice e fraterno, improntato ai valori cristiani di amore e di accoglienza del prossimo. Sto pensando ad una condivisione forte, lasciando però a ciascuno i propri spazi personali e senza isolarsi dal mondo. Ognuno avrà il suo ruolo nella società, col proprio mestiere, i propri impegni nel sociale, i propri momenti liberi. Se sarà possibile, se ci saranno gli spazi e le persone, sarebbe bello anche offrire alla gente luoghi di incontro, per bambini o per anziani, luoghi per la formazione, per ritiri, luoghi nei quali ospitare persone in difficoltà o che intandano sperimentare questo tipo di vita. La fraternità dovrebbe porsi come occasione di incontro per tutti e come punto di riferimento per chi della fraternità non fa parte. Sto pensando ad una fraternità che si appoggi anche sulla parrocchia, che ad essa offra servizi e che si offra come opportunità per la gente che la frequenta.

Ci sono diverse realtà di vita in fraternità sparse per il nostro paese e nel mondo: le conosceremo in post futuri, piano piano. Ognuna di esse ha delle particolarità. Ognuna di esse è per me un modello al quale riferirmi ed ispirarmi. Ho provato una grandissima gioia quando, mesi fa, ho scoperto che altri hanno sentito (e sentono) una spinta simile a quella che sta animando me. Una delle prime realtà che mi sono capitate sott'occhio è quella della Casa della Solidarietà di Quarrata. Di loro magari diremo qualcosa più avanti, o lo diranno loro direttamente. Qui voglio soltanto riportare alcune righe estratte della lettera con la quale queste persone hanno iniziato la loro avventura. Sono parole profonde, bellissime, e sono un po' il manifesto di quello che ho in mente. Quando le lessi non credevo ai miei occhi, tanto rispecchiavano ciò che anche io sentivo... Eccole:

"
Cari amici,
dal confronto di insoddisfazioni, esigenze e sogni e dalla scoperta di motivazioni e speranze comuni, e' nato questo progetto: sperimentare un modo di vivere insieme, diverso dai modelli che abbiamo intorno e che ci aiuti a mantenere la coerenza necessaria tra la nostra fede e la nostra vita quotidiana. [...]
Sogniamo anche spazi e tempi di aggregazione e integrazione con la realta' sociale del posto, vorremmo divenire punto di riferimento per singoli, associazioni e gruppi informali... [...]
Abbiamo steso il nostro progetto confrontando le nostre motivazioni e trovando finalita' e mete comuni... [...]
Crediamo che sia il momento di uscire dal mugugno e dalla troppa prudenza. Il mondo sara' anche come noi lo facciamo a partire da singoli atti concreti."